Sery – 07 Settembre 1992 Lunedì
Quel luogo tranquillo ed amatissimo, un’ampia valle nel verde ad oltre 2.000 mt. Alcuni ruderi di antiche malghe. Fra alte cime in pietra ed alcune più alte perennemente innevate. La voce del torrente in mille rigagnoli, alcuni cinguettii, fischi di marmotte, il fruscio di una brezza leggera. Poi il resto solo silenzio. Nessun umanoide nei d’intorni ed il sole, che pigramente descrive il suo arco pavoneggiando nell’azzurro intenso del cielo, l’unico nel dare movimento al tempo, recitando l’eterno spettacolo del volgere del giorno. Lei, scivolata nel sonno come rapita dal silenzio in cui siamo avvolti.
Assopita sul declivio, come una piccola fata addormentata, in una posa gentile: carponi, il capo rivolto su un lato tra le braccia, lo snello corpo adagiato in tutta la sua lunghezza sull’erba, i piedi distesi ed incrociati in un giocoso intreccio. La guancia su cui indugia il sole mostra quel piccolo rossore che lei forse detesta e la sua espressione appare serena, distesa e mi chiedo se stia sognando.
Guardo il suo corpo di donna e ne scopro sinuosità nuove, eleganti ed inaspettate. L’abbraccio con la madre terra ha allontanato da lei quella tensione, che talvolta l’accompagna, e le ha permesso di distendersi armoniosamente, esaltando la sua giovane e semplice bellezza.
La guardo con tenerezza infinita, pensando a quanto sembri fragile e delicata, a quale peso possa gravare su quelle piccole spalle, ma anche a quanta forza vi sia in quel piccolo spirito che vuole essere ribelle, combattivo e libero come l’aria.
Un giorno lei sarà orgogliosa di sé stessa, mi dico, quando scoprirà per intero la sua forza e la sua vera bellezza, quando capirà che la diversità è nell’ordine delle cose. Risolverà un giorno le difficoltà, il contrasto e gli enigmi, che ora la tormentano e quotidianamente le incendiano l’anima; e la donna che ne sortirà sarà stupenda ed equilibrata.
Penso a quanto lei ora abbia necessità di una carezza ed al tempo stesso a quanto le carezze ed altro la possano forse intimorire: quante cose non avevo capito di lei, rifletto, ed in quel momento un po’ me ne vergogno…
Avevamo riso divertiti prima che scivolasse nel sonno e le avevo raccontato la storia di un singolo fiore che in una landa dispersa avevo un giorno trovato e non avevo avuto la forza di cogliere. Quando si coglie un fiore, le dissi,
avidamente si desidera la sua bellezza a tal punto da privarlo della vita piuttosto che lasciarlo lì dove si trova. Io preferii allora non violare una cosa così bella e sia pur con tristezza proseguii il mio cammino senza di lui.
Non le dissi però che dopo tornai indietro e con delicatezza presi questo fiore insieme alla terra che avvolgeva le sue delicate radici. Lo portai con me e facemmo tanta strada insieme finché non trovai altri fiori. Allora cercai il posto più soleggiato e protetto e sistemai il mio piccolo fiore insieme a tutti gli altri…
Poi lei aprì gli occhi e mi distolse dagli sciocchi pensieri…
La luce della vita riapparve sul suo viso e le rivolsi un sorriso lì, ad un passo dal ruscello, tra i cinguettii, nel fruscio di una brezza leggera, in un momento senza tempo...
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