ETICA MANAGERIALE
L'obiettivo dell'imprenditore illuminato resta quello di migliorare il profitto. Ma oggi cambiano le modalità. E chi non capisce quanto siano importanti i valori immateriali nelle organizzazioni rischia di essere tagliato fuori.

Si discute sempre più spesso di etica nel mondo del business. Quando studiavo Economia all'università, i sacri testi dicevano che il compito dell'imprenditore illuminato era quello di combinare i fattori della produzione nel modo più efficace e più efficiente per generare il più alto profitto possibile. Sottolineo: il più alto possibile. Oggi non è più così? Non credo. Ma il contesto macro è mutato e richiede nuove regole del gioco.

Al concetto di più alto profitto possibile si è necessariamente associato un concetto temporale. L'accelerata dinamicità di tutto ciò che ci circonda (dai consumi agli spostamenti, al tempo libero) ha esposto le aziende a un maggiore rischio di fallimento. E quindi di scomparsa, con tutti i relativi disagi e costi, imprenditoriali e sociali. Ciò ha suggerito di non forzare la capacità di un'azienda di produrre un profitto extra nel breve periodo, cosa che ridurrebbe le risorse disponibili per fronteggiare difficoltà impreviste negli esercizi successivi. È nato così il concetto di sviluppo sostenibile, cioè la capacità di produrre un risultato possibile e duraturo.

In tutte le società ricche e avanzate le esigenze crescono con il crescere della disponibilità economica e intellettuale. Le esigenze primarie dell'essere umano, che si tratti di mangiare piuttosto che di vestirsi, sono ampiamente soddisfatte. Poi ci sono quelle relative alla sicurezza, alla mobilità, al tempo libero. Nella famosa scala dei bisogni di Abraham Maslow (Maslow's hierarchy of needs) dopo il bisogno d'amore e di stima compaiono i bisogni di armonia con ciò che ci sta intorno: la pace, l'estetica e, sempre di più, il bisogno di giustizia, equità, e così via. Non è questo uno sviluppo che fa crescere l'esigenza di etica? In questo contesto l'imprenditore accorto, che ormai sempre più spesso è un manager proprio perché si tende a richiedere e premiare con posizioni di comando la competenza piuttosto che il possesso del capitale, riconosce questa situazione. Spesso aiutato da informazioni sofisticate, il manager sa che i prodotti sono sempre più indifferenziati e sostituibili, e/o i clienti/consumatori sempre meno fedeli. Per distinguersi, quindi, bisogna avere la capacità di offrire un valore aggiunto: la buona reputazione dell'azienda. E in tema di reputazione può rappresentare un bel passo avanti l'esistenza di una cultura aziendale costruita solidamente attorno a principi etici che si trasformano in comportamenti condivisi. Limprenditore manager lo sa bene e adatta la propria azienda a questo nuovo stimolo, trasformandolo in vantaggio competitivo.

La buona reputazione dell'azienda non serve solo a vendere meglio, ma anche ad attrarre il fattore fondamentale per lo sviluppo: le risorse umane. Oggi, infatti, la risorsa di gran lunga più strategica è rappresentata dalla conoscenza, dal know how. Per assicurarsela un'azienda deve cercare le migliori intelligenze disponibili. Ma non basta. Ci vogliono anche il carattere e i valori corretti. Un grande guru della pubblicità aveva coniato questo slogan: «Noi assumiamo solo gentleman con un cervello». Che, in generale, chiedono di essere remunerati non solo con stipendi adeguati, ma anche con altro: training, pari opportunità di crescita e sviluppo, equità, trasparenza fortemente motivati e sostenuti da una guida imprenditoriale estremamente capace ed affidabile. E si ritorna ancora all'etica: impossibile assumere i migliori talenti se si ha fama di sfruttatori.

Ecco allora che le migliori organizzazioni aziendali di qualsiasi livello si trasformano. Si tende ad avere sistemi d'incentivazione che rendano maggiormente evidente la partecipazione delle risorse strategiche al risultato. Le stock option, se usate bene e regolate con attenzione, sono una risorsa fondamentale in tal senso. Si tende, e si tenderà sempre più, a organizzazioni a partecipazione diffusa (public company), dove una parte sempre più rilevante della proprietà sarà delegata e “rappresentata” da chi lavora. Ma si è ancora all'inizio. Specie da noi, dove il sistema fiscale non offre ancora opportunità che una regolamentazione valida e moderna potrebbe offrire allo sviluppo.

Ritornando all'imprenditore che qualche anno fa massimizzava i fattori produttivi, e alla domanda iniziale, le cose sono davvero cambiate? La risposta è no. Si sono solo adattate alla realtà: l'imprenditore manager continua oggi a fare lo stesso mestiere, ma in modo più consono ai tempi. Naturalmente non è sempre tutto rose e fiori e ci sono molti furbi in giro. Ma di certo questi non raggiungeranno risultati soddisfacenti nel lungo periodo, perché il modello di business che hanno adottato non è sostenibile. Farebbero bene a ragionarci sopra e a valutare meglio le loro convenienze.


di Cesare Valli Presidente e Amministratore Delegato HILL & KNOWLTON