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Nella nona settimana del 2005 è stato battuto il record di ben 6 addetti in malattia.
Complimenti a tutti gli altri. La Direzione.
P.S. Documento vero ed inconfutabile da testimonianze, immagini, e un video.
..."COMPLIMENTI A TUTTI GLI ALTRI"?.....Maaa...che cavolo significa???.....Sarebbe molto esilarante e veramente da barzelletta; peccato che è tutto vero e rappresenta una emblematica realtà di una mentalità consolidata della "Direzione"....di una "INDUSTRIA".....nei confronti di tutti quegli "INFAMI" e lavativi dipendenti che osano ammalarsi............. Della serie: DIRITTI NEGATI.....E QUANT'ALTRO...........(No comment...)
A proposito di DIRITTI, ricordiamo un attimino a questa "DIREZIONE" cosa dicono le leggi ed i Giudici della Cassazione in particolare:
Il lavoratore può ottenere il risarcimento del danno biologico anche quando questo sia causato da un comportamento astrattamente lecito del suo datore di lavoro? Di regola, il risarcimento di ogni danno, ivi compreso quello biologico, presuppone la natura illecita del comportamento che l'ha cagionato. Tuttavia, la Cassazione, con la sentenza n. 475, pronunciata il 19/1/99, ha riconosciuto che, a determinate condizioni, anche un comportamento astrattamente lecito può essere fonte di risarcimento del danno. Più precisamente, la Corte ha affermato che le reiterate visite di controllo sul lavoratore assente per malattia, richieste dal datore di lavoro, possono configurare un comportamento persecutorio, con conseguente diritto del lavoratore al risarcimento dei danni subiti a causa di tale comportamento. Come è facile intuire, l'importanza della segnalata sentenza sta nel fatto che è stato riconosciuto il diritto al risarcimento in un caso in cui il danno era stato causato da un fatto in sé lecito.
Nello specifico di questa sentenza, un datore di lavoro aveva continuativamente chiesto il controllo sulla malattia di una lavoratrice che si era assentata dal lavoro per sindrome ansioso-depressiva. L'esercizio di questo diritto era tanto più vessatorio, se si pensa non solo alla sistematicità del controllo, ma anche al fatto che, puntualmente, il controllo si concludeva con la conferma della persistenza della malattia. Pertanto la lavoratrice, dopo essersi dimessa, si era rivolta al Giudice del lavoro, sostenendo che l'assillo delle quotidiane visite di controllo aveva aggravato e stabilizzato la sua malattia, chiedendo quindi il risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale, in sede di appello, aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro, condannandolo al risarcimento del danno biologico, del danno alla capacità lavorativa, del danno morale e del danno patrimoniale (quest'ultimo, sotto il profilo della perdita di guadagno conseguente alle dimissioni). La citata sentenza della Corte di cassazione ha sostanzialmente confermato tale sentenza, riconoscendo dunque che anche l'esercizio di un diritto, se avviene con modalità vessatorie, può cagionare un danno risarcibile.
Un consiglio alla "Direzione" di queste aziende:......"NON PENSATE DI SENTIRVI AL SICURO SOLO PERCHè NON C'è UN RAPPRESENTANTE DEL C.D.F. CON LE PALLE CHE RIESCA A CONTRASTARVI NEI VOSTRI ILLECITI COMPORTAMENTI".......perchè basta un solo dipendente che abbia conservato TUTTE le copie delle visite mediche di controllo per portarvi in giudizio........
Ai dipendenti che riprendono il lavoro dopo la malattia INVECE consiglio:...." SE VI CHIAMANO IN UFFICIO PER FARVI L'ENNESIMA, CONSUETA, "PRODUTTIVA" ROMANZINA CON TANTO DI FILASTROCCA ACCUSANDOVI DI BOICOTTARE L'AZIENDA CON LE VOSTRE ASSENZE PER MALATTIA:.......DITEGLI DI VERBALIZZARE IL TUTTO ED INVIARVI UN BEL RECLAMO SCRITTO CON TIMBRO E FIRMA.....".....Poi vi "suggerisco" io cosa fare!...
IL LAVORATORE HA DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO PER IL CONTENUTO DI COMUNICATI AZIENDALI LESIVI DELLA SUA PERSONALITA’ – Una situazione di conflitto non giustifica comportamenti ingiuriosi (Cassazione Sezione Lavoro n. 11432 del 16 maggio 2006, Pres. Sciarelli, Rel. Figurelli). Mario M., dipendente della s.r.l. Euganea Vasi è stato richiesto dall’azienda di lavorare anche nelle giornate di sabato. Egli ha rifiutato facendo presente che si trattava di una prestazione supplementare, in aggiunta al normale orario di lavoro di 40 ore settimanali e che pertanto egli non era tenuto a svolgerla in assenza di un accordo in tal senso tra l’azienda e le rappresentanze dei lavoratori. Egli ha anche invitato l’azienda a rispettare la normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. L’azienda gli ha applicato per tre volte consecutive la sanzione disciplinare della sospensione e successivamente, poiché il lavoratore non ha desistito dal suo rifiuto, lo ha licenziato. Nel periodo precedente al licenziamento la datrice di lavoro ha affisso nella bacheca aziendale comunicati nei quali si ridicolizzavano le richieste avanzate da Mario M. e dal suo collega Massimo S. in materia di orario di lavoro e di igiene e sicurezza, qualificandole come “minatorie” ed invitandoli “ad andare al mare o in montagna in quanto il lavoro non faceva per loro”. Successivamente l’azienda ha dato notizia ai dipendenti del licenziamento di Mario M., evidenziando che egli “ormai da troppo tempo non si adeguava all’orario aziendale, 48 ore settimanali ogni tre settimane” e prospettando anche l’ipotesi che egli avesse un altro lavoro. Mario M. ha chiesto al Tribunale di Venezia di annullare il licenziamento, di ordinare all’azienda la sua reintegrazione nel posto di lavoro, nonché il pagamento delle retribuzioni maturate dalla risoluzione del rapporto sino all’effettiva riassunzione e di condannarla inoltre al risarcimento del danno per il comportamento ingiurioso tenuto nei suoi confronti. Il Tribunale ha annullato il licenziamento ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro con il pagamento della retribuzione maturata, rilevando che il contratto collettivo di categoria prevedeva la possibilità di lavoro supplementare solo in via eccezionale e previo accordo tra la direzione aziendale e la rappresentanza sindacale. Il Tribunale ha inoltre condannato la datrice di lavoro al risarcimento del danno per comportamento ingiurioso. Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Venezia per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 11432 del 16 maggio 2006, Pres. Sciarelli, Rel. Figurelli) ha rigettato il ricorso perché ha ritenuto che la Corte di Venezia abbia correttamente motivato la sua decisione. Per quanto concerne la ritenuta portata ingiuriosa del licenziamento la Suprema Corte ha affermato che il giudice d’appello aveva esattamente ritenuto che nelle comunicazioni aziendali si dipingeva sostanzialmente Mario M. come persona contraria all’azienda e scorretta, con conseguente lesione della reputazione del lavoratore.
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